15 dicembre, 2006

I Bronzi di Riace

Chi rappresentano i due Bronzi? Due atleti? Due guerrieri? Oppure due barbuti eroi figli di Zeus o di Apollo? Le più varie ipotesi su quali fossero i persorsonaggi reali cui erano ispirati i bronzi di Riace sono fiorite fin dal 1972, quando il giovane subacqueo Stefano Mariottini ritrovò le due statue al largo di Marina di Riace (a pochi Km da STIGNANO).

Il bronzo A, detto anche "il giovane", potrebbe rappresentare Tideo, un feroce eroe proveniente dall'Etolia, figlio del dio Ares (o del re Eneo) e protetto di Atena. Il bronzo B, detto "il vecchio", raffigurerebbe invece Anfiarao, un profeta guerriero. Entrambi parteciparono alla mitica spedizione della città di Argo contro Tebe, e Anfiarao aveva persino profetizzato la propria morte sotto le mura di Tebe, e la disastrosa conclusione dell'avventura.
Oltre ad aver identificato i due personaggi, Moreno ha individuato gli artefici delle statue e trovato l'originale collocazione dei due pezzi. Il primo passo è stato l'identificazione degli artisti. «Mi ha aiutato il restauro», dice Moreno. «Le statue, infatti erano piene di terra, la cosiddetta "terra di fusione". Che, impregnata da secoli di salsedine, stava mangiandosi le statue dall'interno». La terra è stata estratta passando dai fori nei piedi grazie ad ablatori dentistici a ultrasuoni, pinze flessibili, spazzole rotanti, tutti controllati da microtelecamere che inviavano su un monitor immagini dell'interno delle statue, ingrandite da tre a sei volte.
«Analizzando la terra così estratta, si è scoperto che quella del bronzo B proveniva dall'Atene di 2500 anni fa, mentre quella del bronzo A apparteneva alla pianura dove sorgeva la città di Argo, più o meno nello stesso periodo», racconta Moreno. «E, soprattutto, si è scoperto che le statue furono fabbricate con il metodo della fusione diretta, poco usato perché non consentiva errori quando si versava il bronzo fuso, infatti, il modello originale era perduto per sempre». La provenienza geografica e la tecnica usata hanno convinto Moreno che l'autore del "giovane" fosse Agelada, uno scultore di Argo che, a metà del V secolo a. C., lavorava nel santuario greco di Delfi e nel Peloponneso. Infatti Tideo assomiglia moltissimo alle decorazioni del tempio di Zeus a Olimpia. «Quanto al vecchio, i risultati dell'analisi hanno confermato l'ipotesi dell'archeologo greco Geòrghios Dontàs: a scolpirlo fu Alcamene, nato sull'isola di Lemno, che pare avesse ricevuto la cittadinanza ateniese per i suoi meriti d'artista».
    
Grazie a un'attenta analisi delle statue si sono potuti accertare anche altri dettagli, alcuni dei quali sorprendenti. Per esempio che le statue erano abbellite da elementi cromatici: il rosso del rame evidenziava i capezzoli e le labbra gli occhi erano pietre colorate, i denti d'argento. «Quest'ultimo particolare, finora unico esempio nella statuaria classica», dice Paolo Moreno, «enfatizza bene l'espressione di Tideo, che non è affatto sorridente come sembra. Il suo è invece un ghigno satanico e bestiale, simbolo della ferocia del guerriero capace di fermarsi a divorare il cervello del nemico tebano Melanippo: un orrendo atto di antropofagia che costò all'eroe l'immortalità promessagli da Atena». Un'altra tragica vicenda sembra emergere dall'espressione angosciata del bronzo B. Anfiarao, il guerriero-profeta, che tradito dalla moglie Erifile, era stato costretto a partire per la guerra pur conoscendo la tragica conclusione della spedizione e la propria morte. Secondo Moreno, il capo di Anfiarao era cinto da una corona di alloro, simbolo della carica di profeta: l'indizio decisivo è la presenza di un foro sulla nuca, espediente spesso usato per unire alla statua gli "accessori" necessari.



 Resta un ultimo enigma. Come hanno fatto i due bronzi superstiti ad arrivare nel mare della Calabria? «All'inizio si ipotizzò che i due bronzi fossero stati gettati in mare dall'equipaggio di una
nave in difficoltà per il mare grosso», dice Moreno.

«Ma nelle campagne di rilevamento successive si ritrovò un pezzo di chiglia appartenuta a una nave romana di età imperiale». Si notò inoltre che le due statue erano state ntrovate vicine e affiancate, cosa impossibile anche se fossero state gettate in mare contemporaneamente.



Il ritrovamento sembra invece tipico di uno scafo di una nave naufragata, disfatta nei secoli a causa delle forti correnti e dell'acqua marina. «Una nave quindi trasportava i bronzi di Argo», conclude Moreno. Soltanto due? «Non è detto. Forse la nave apparteneva a un convoglio che trasportava l'intero gruppo, la cui sorte è ancora sconosciuta».

13 dicembre, 2006

Divertiamoci con i modi di dire e i proverbi calabresi....
  • T'azziccu nu schiaffu ca fazzu u ti criscinu i cerasi ntà testa.
  • Caru amicu mo tu'dicu I LOVE YOU ma'vistu mo e nu mi vidi chiu!!!
  • Ti para ca stamu 'ncartandu turruna!
  • 'Cu si marita è cuntentu 'nu jiornu, cu' mmazza ' u pòrcu è cuntentu n'annu. 
  • Quandu a fimmina motica l'anca, o è puttana o pucu ci manca!
  • U marito emigratu in germania, telefona da mugghjieri: COMU STA! JEU MALI CA SUGNI SUTTA ZERU. a mugghjieri rispundi: JEU MEGGHJIU, CA SUGNU SUTTA A UNU.
  • Cù dassa a strata vecchia pa nova, sapa chiddu cchi dassa m'on sapa chiddu chi trova.
  • I guai da pignàta i sapa a cucchijàra chi i manìja. 
  • Senza sordi 'on si'nda dinnu missi.
  • Sapiti cchi ssi dicia; ca a sarda si mangia a llicia.
  • Quandu ‘a tavula è misa cu non mangi perda ‘a spisa.
  • 'U mangiari senza 'mbiviri è comu u tronari senza chioviri.
  • Quandù rriva a tramuntàna dàssa u lìnu e pigghia a làna. 
  • Cù simina 'nta vigna nò meti e no vindigna.
  • A soggera pa nora anche s'è i zuccharu non è bona.
  • Na mamma faci pi centu figghioli, ma centu figghioli non fannu pi na mamma.
  • Amura e cerasi cchiù ndi menti e cchiù ndi trasi.
  • Megghiu pani e cipudda a' casa tua ca pisci e carni a casa d'attri.
  • Quandu 'u tempu è d'a marina, / pigghjia 'a pignata e va' e cucina.
  • Quandu 'u tempu è d'a muntagna, / pigghjia 'a zappa e va 'n campagna.
  • 'Nci dissi u surici a nuci: "Dammi tempu ca ti perciu!"
  • Di venneri e di marti non si spusa e non si parti.
  • Quannu chijovi a S. Giovanni,bona notti alli castagni.
  • Tira cchiù na fimmina 'nta 'nchianata ca nu paru i voi 'nta scinduta
  • "Pa Candelora u lanutu nesci fora pe quaranta jiorna ancora"

Ora una serie di proverbi con la rispettiva traduzione.

Ligne e cerza e pane e carusu viatu a chira casa chi se usa.
Legna di quercia e pane di grano beata la casa in cui se ne fa uso.

Si vo’ ‘mmitare u miegliu amicu, carne e crapa e ligne e ficu.
Se vuoi invitare il migliore amico, carne di capra e legna di fico.

U cavvulu vo’ do cuocu assai carne e assai fuocu.
Per essere gustosi i cavoli hanno bisogno di molta carne e molto fuoco.

De tutte e ‘mpusaglie, a supressata sa ra meglia.
Tra tutte le leccornie, la soppressata è la migliore.

Unn’è zuppa ch’è pane ‘mpusu.
Non è zuppa è solo pane bagnato.

Panza china canta, no’ cammina janca.
Stomaco pieno canta e non camicia bianca.

Panza china fa cantare.
Stomaco sazio fa cantare.

Mangia tutte e cose e lassa a vucca a ru casu.
Assaggia di tutto ma concludi con il formaggio.

Pane e lavatu se rennenu ammigliorati.
Pane e lievito vanno resi aumentati.

Chine tene pipe u minte a ri cavvuli.
Chi possiede pepe lo usa anche con la verdura.

Stipate u milu ppe quannu te fa sidde.
Metti da parte la mela per quando hai sete.

A tavula ricca fa ra casa povera.
La tavola dispendiosa fa la casa povera.

Unn’è pisci ppe fa brodu.
Non è pesce adatto per il brodo.

Panza mia fatti capanna.
Pancia mia fatti capanna.

E’ mangiatu pane e casu e nun cuntanu i fatti da casa.
Ho mangiato pane e formaggio e non posso raccontare in giro i fatti di casa mia.

E patate ne su abbutti i pezzienti.
Di patate ne sono sazi anche i poveri.

U miegliu cumpane è ru pitittu.
Il miglior companatico è l’appetito.

U vinu buonu ‘un se fa acitu.
Il vino buono non diventa mai aceto.

Gaddrina vecchia fa buon brodu.
Gallina vecchia fa buon brodo.

’Ntre vutte cchiù picciule, u meigliu vinu.
Nelle botti piccole, il miglior vino.

Chine avia fuocu campàu, chine avia pane moriu.
Chi aveva fuoco sopravvisse, chi aveva pane morì.

Miemmula iurata e sazizza sapurita su stati la rovina de la mia vita.
Mandorlo in fiore e salsiccia saporita sono state le rovine della mia vita.

Conzala cumu vue è sempra cucuzza.
Aggiustala come vuoi rimane sempre zucca.

U vinu? Chi si nne vo’ fare sulu ppe ra missa.
Il vino? Se ne dovrebbe fare solo per le funzioni religiose.

Damme pane ca vaiu fore.
Dammi pane e non ho paura ad andare in giro.

Chine lassa pane e coppa a mali danni ‘ncappa.
Chi rifiuta pane e prosciutto, va incontro a brutti guai.

Se mangia ppe campare, ‘un se campa mangiare.
Si mangia per vivere e non si vive per mangiare.

Cumu te puozzu amare cucuzza longa si ppe mangiare a tie cce vo’ ra carne.
Come faccio ad amarti cara zucca se per assaporarti devi essere accompagnata dalla carne.

Me solìa mangiare sette pani ‘n zuppa e mo’ c’è rimastu u pane e sutta.
Avevo l’abitudine di consumare sette pani e adesso non riesco a consumare per intero un solo piatto.

Na vota me morìu nu pulicinu, ce fattu centuvinti supressate e n’haiu untatu puru u vicinatu.
Da un pulcino riuscii a ricavare 120 soppressate e regalarne anche ai vicini.

Acqua a re papare e vinu a ri ‘mbriacuni.
Acqua per le papere e vino per gli ubriaconi.

Chine trippa accunsente, prima mangia e pue se pente.
Chi va dietro allo stomaco, prima mangia e poi si pente.

Arrustiennu mangiannu.
Mangiare mentre si cucina.

Pane e vilanza, u’ inchie mai a panza.
Pane razionato non riesce a soddisfare la pancia.

A panza china si raggiuni migghiu.
A pancia piena si ragiona meglio.